Hai presente quella sensazione quando ti svegli il giorno dopo il Keynote e non c’è nessuna farfalla nello stomaco? iPhone 17 mi ha fatto esattamente questo effetto.
Tutto giusto, niente di nuovo. C’è il chip A19 e A19 Pro con la solita promessa di balzo nelle prestazioni e nella batteria, c’è un sistema di fotocamere migliorato con 48 megapixel ovunque e l’8x di qualità ottica sui modelli Pro, con persino una front camera che con il Center Stage allarga automaticamente l’inquadratura nelle foto di gruppo.
È un’evoluzione impeccabile, sì, ma completamente prevedibile. Le vendite partono dal 19 settembre e già qualche media ha segnalato artefatti nelle foto sotto luci LED molto forti, con Apple al lavoro su una patch.

Cronaca di un day one in tono minore.
Da utente iPhone che ha vissuto l’era Jobs, il punto non è che il telefono sia scarso, il punto è il ritmo.
Apple aggiorna come un metronomo preciso: hardware raffinatissimo, software rifinito, il solito “migliore di sempre”. Ma la meraviglia? Quella ormai la delega all’intelligenza artificiale.
Nel 2024 Apple ha presentato Apple Intelligence con l’architettura Private Cloud Compute, on device quando basta e su server Apple Silicon quando serve, con un livello di privacy misurabile. Federighi l’ha definita la più avanzata architettura di sicurezza mai dispiegata nel cloud IA su larga scala. Cook ha parlato di un nuovo capitolo. Eppure, come utente, la magia non la vedo ancora.
Il segnale che più mi fa storcere il naso è Siri. Nata nel 2011 su iPhone 4S, era stata la mossa giusta al momento giusto. Nel 2025 resta affidabile solo per timer, messaggi e chiamate, ma appena esci dal copione inciampa. Le vere ambizioni da agente digitale, con memoria, contesto persistente e azioni multi app, sono state rinviate al 2026. Lo ha detto Apple stessa e lo hanno ribadito Reuters e The Verge.
Capisco l’ossessione per l’affidabilità, ma da utente la promessa rinviata pesa come una porta che non si apre mai. Nel frattempo Apple ha integrato ChatGPT dentro iOS, iPadOS e macOS. Siri chiede il permesso e quando serve chiama il modello di OpenAI. Gli strumenti di scrittura e Image Playground lo usano senza nemmeno chiederti un account. È una scelta pragmatica, e brava Apple sul lato privacy e consenso, ma da utente storico sembra rincorsa, non guida. Se la differenza tra capire e capire davvero la fa un modello esterno, è difficile percepirti come l’innovatore di riferimento.

Il paradosso Apple Intelligence
Poi c’è il paradosso: Apple Intelligence non è per tutti. Serve almeno un A17 Pro, quindi iPhone 15 Pro o successivi. Su iPad e Mac parte da M1. Motivazione tecnica sì, ma l’effetto è un taglio verticale sulla base utenti. È la prima volta che un’innovazione di sistema così identitaria non arriva a chi ha comunque l’ultima versione di iOS.
Sul fronte messaggistica Apple aveva tutto in mano. Oggi nel quotidiano vince WhatsApp, che in Europa è considerata una delle piattaforme digitali più grandi e sotto speciale controllo, mentre a livello globale si avvicina ai tre miliardi di utenti attivi. iMessage resta eccellente ma chiuso.

Messaggistica al recupero
Certo, Apple ha finalmente introdotto il protocollo RCS, e lo scambio con Android è ora decisamente migliorato. Bene, ma è recupero, non leadership.
Sul piano industriale non si discute. Oltre 3,5 trilioni di dollari di capitalizzazione, iPhone che resta il primo pilastro dei ricavi, i servizi che macinano crescita e margini. Nel Q2 2025 il mercato smartphone è rimasto piatto e Apple ha mantenuto il secondo posto in quanto a volumi. Una macchina solida, più amministrazione che rivoluzione.
Non dico che Apple non cerchi nulla. I rumor parlano di un foldable in cantiere per il 2026, e quest’anno è arrivato anche un iPhone Air ultrasottile. Tentativi interessanti, ma finché restano sul perimetro non cambiano la sensazione di fondo. Apple guida la macchina, non traccia la strada.

Cosa vorrei, da nostalgico del one more thing?
Vorrei una Siri con memoria vera, capace di pianificare e agire tra app senza inciampi. Vorrei un’IA di sistema che non sia un collage di feature ma un runtime che capisce il contesto, agisce, dichiara cosa ha visto e cosa farà con controllo granulare e log esportabile.
Vorrei interoperabilità onesta nei messaggi, RCS con crittografia end to end vera tra piattaforme. Vorrei un iPhone che non sia solo più potente ma diversamente capace, capace di sorprendermi. Perché sì, Apple è ancora la migliore al mondo nel far funzionare le cose, e va riconosciuto: privacy pensata a monte, integrazione hardware software, supply chain da manuale.
Ma io, utente che l’ha amata perché osava, non compro la perfezione. Compro il futuro. E oggi quel futuro lo vedo più nei comunicati stampa che nell’esperienza quotidiana.
Quando un’azienda smette di innovare non importa quanto sia solida o amata, finisce per noleggiare questa innovazione da qualcun altro. Oggi la prende in affitto da OpenAI, domani magari da altri.
Io spero che il prossimo Keynote non venga fatto per calendario, ma quando è pronto e fa davvero la differenza. Con un’idea che non avevo previsto. Con qualcosa che, almeno per una notte, mi tenga sveglio.


