Quando si compra uno smartphone, soprattutto se si parla di un Pixel 10, ci si aspetta di poter sfruttare tutte quelle funzioni di intelligenza artificiale mostrate nei keynote e nei video promozionali.
La realtà italiana è però molto diversa: sebbene pubblicizzate anche sulle pagine di Google (con strategiche note a piè di pagina con scritto “non disponibile in Italia”), molte di queste funzioni semplicemente non ci sono. È lo stesso paradosso che rimproveriamo spesso ad Apple, ma che Google sta replicando quasi con la stessa precisione chirurgica, se non peggiore.
Spendiamo cifre importanti per avere un telefono AI-first, ma alla prova dei fatti buona parte delle novità più interessanti resta fuori dal nostro mercato.

Un esempio lampante è Magic Cue, la funzione che dovrebbe suggerire automaticamente informazioni utili pescando dalle mail, dagli eventi in calendario o dalle chat. Un assistente proattivo, insomma, che in Italia però non funziona.
Lo stesso vale per Pixel Studio, l’applicazione pensata per generare immagini, adesivi e piccole animazioni con comandi testuali: in teoria un biglietto da visita per mostrare la potenza dell’IA di Google, in pratica una promessa non mantenuta per chi vive da noi. Nemmeno Pixel Screenshots, l’analisi intelligente degli screenshot con riassunti e suggerimenti, risulta disponibile, lasciando gli utenti italiani con la sensazione di avere tra le mani un dispositivo castrato. E queste funzioni, sia chiaro, le stiamo aspettando fin dal lancio del Pixel 9.
Sul fronte delle chiamate, le limitazioni sono ancora più pesanti. Call Recording, che permetterebbe di registrare le telefonate direttamente dall’app ufficiale, è disattivato per il nostro mercato, e funzioni come Hold for Me, che fa attendere l’assistente al posto tuo, o Call Notes, che trascrive e riassume la conversazione, restano lontane dall’Italia. È un’assenza che pesa perché riguarda strumenti realmente utili nella vita quotidiana, non semplici gimmick.

Persino funzioni apparentemente “banali” come quelle della tastiera non sono complete. Le opzioni avanzate di Gboard, come la scrittura assistita intelligente o la correzione in stile IA, sono attive solo in alcune lingue e mercati selezionati, lasciando l’italiano fuori dal gioco. E lo stesso destino tocca a Ask Photos, l’editor conversazionale di Google Foto che consente di modificare un’immagine con comandi vocali o testuali: niente da fare, in Italia non c’è.
Queste sono solo una parte delle funzioni che mancano, l’elenco non è completo ed è anche abbastanza difficile trovare informazioni a riguardo.
Il risultato, comunque, è che chi compra un Pixel 10 in Europa, e in particolare in Italia, si ritrova con un telefono che potenzialmente sa fare molto, ma che nella pratica viene limitato da Google stessa.
Colpa di Google? Colpa dell’Unione Europea? A questo non sappiamo rispondere, ma ciò che è certo è che noi utenti, lo smartphone, lo paghiamo a prezzo pieno. Di contro, però, abbiamo dall’altro lato della barricata Samsung, che presenta e fornisce tutte le funzioni indistintamente dal mercato. Forse l’azienda ha un trattamento prioritario e speciale in Europa?

Non si tratta solo di funzioni di contorno, ma di feature che definiscono l’identità del Pixel come “smartphone intelligente”. Ecco perché la frustrazione è tanta: non compriamo un telefono “ridotto”, ma un dispositivo di punta che però ci viene consegnato a metà potenziale.
Google dovrebbe smetterla di vendere a colpi di slogan globali e iniziare a trattare tutti i mercati allo stesso modo, perché le promesse a metà, alla lunga, diventano solo cattiva pubblicità.


