L’odissea di Valve e Gabe Newell: dal fallimento delle prime Steam Machine al trionfo Linux

L’odissea di Valve e Gabe Newell: dal fallimento delle prime Steam Machine al trionfo Linux

Valve Gabe Newell Steam Machine

L’industria del PC gaming sta osservando con rinnovato interesse le mosse di Valve riguardanti il nuovo hardware. Le iterazioni delle nuove Steam Machine non suggeriscono semplicemente l’arrivo di nuovi computer da salotto, ma consolidano una strategia decennale volta a rendere Linux una piattaforma di gioco primaria.

Per comprendere la portata di questa evoluzione, è necessario analizzare la lunga e travagliata storia che ha portato l’ecosistema open-source dall’essere una curiosità tecnica a diventare il pilastro su cui poggia il futuro della più grande piattaforma di distribuzione digitale al mondo.

Le origini: un deserto con poche oasi

Agli albori del gaming su PC, Linux era considerato un ambiente ostile per l’intrattenimento videoludico. Sebbene esistessero tentativi sporadici, il supporto era quasi inesistente. Uno dei primi esempi di software commerciale fu la build ufficiale di Doom per Linux, divenuta leggendaria non per le sue prestazioni, ma per il file “readme” allegato. In esso, Dave Taylor di id Software scriveva esplicitamente di aver effettuato il porting solo per interesse personale verso il sistema operativo, ammonendo gli utenti a non inviare segnalazioni di bug poiché il progetto non generava profitti e costava risorse.

Nonostante l’ostilità del mercato, alcuni titoli di rilievo videro la luce su sistemi Unix-like. Unreal Tournament (nelle edizioni 1999 e 2004) offrì supporto nativo, così come alcuni gestionali e strategici. Un ruolo cruciale in questa fase embrionale fu giocato da Loki Entertainment, un’azienda che tentò di creare un modello di business basato esclusivamente sul porting di giochi Windows su Linux, portando titoli come Sim City 3000, Quake 3 Arena e Railroad Tycoon 2.

Tuttavia, il fallimento di Loki Entertainment e la scarsa adozione da parte del pubblico crearono un vuoto che durò per quasi un decennio. La mancanza di librerie standardizzate, la complessità dei driver grafici e la frammentazione delle distribuzioni rendevano lo sviluppo su Linux un investimento a perdere per le grandi case di produzione.

Il sistema operativo rimase confinato all’ambito server e professionale, mentre Windows consolidava il suo monopolio assoluto sul gaming domestico.

Faster Zombies e la minaccia di Windows 8

La situazione iniziò a cambiare radicalmente intorno al 2012. In quel periodo, Valve iniziò a percepire il predominio di Microsoft non più come una risorsa, ma come una minaccia. Con l’avvicinarsi di Windows 8 e il suo tentativo di chiudere l’ecosistema software all’interno del Windows Store, Gabe Newell definì pubblicamente il nuovo sistema operativo una catastrofe.

Valve aveva bisogno di un piano di fuga, e quel piano era Linux.

La dimostrazione di forza arrivò il 1° agosto 2012 con la pubblicazione di un articolo tecnico sul blog di Valve intitolato “Faster Zombies“. Gli ingegneri dell’azienda avevano completato il porting di Left 4 Dead 2 su Linux utilizzando le librerie OpenGL. I risultati furono scioccanti per l’industria: il gioco girava a 315 fotogrammi al secondo su Linux, contro i 270 della versione Windows DirectX, utilizzando il medesimo hardware.

Questo dato tecnico fu la prova che Linux non era intrinsecamente più lento o inadatto al gaming: era semplicemente stato ignorato. L’anno successivo, durante il LinuxCon di New Orleans, Gabe Newell salì sul palco per dichiarare che “Linux e l’open-source sono il futuro del gaming”.

Nonostante lo scetticismo generale degli altri publisher, che vedevano Linux come una perdita di tempo con una quota di mercato irrisoria, Valve iniziò a investire massicciamente nell’infrastruttura necessaria per rendere quella visione realtà.

Il fallimento delle prime Steam Machine (2014-2015)

L’entusiasmo iniziale culminò nel lancio del programma Steam Machine nel 2014. L’idea era rivoluzionaria: portare il PC gaming nel salotto di casa con la facilità d’uso di una console, utilizzando un sistema operativo proprietario basato su Linux, SteamOS.

L’esecuzione si rivelò però disastrosa. Il sistema operativo, basato all’epoca sulla distribuzione Debian, era solido ma non ottimizzato per le esigenze rapide dei videogiocatori, e soprattutto mancava di un catalogo adeguato.

Il problema fondamentale era quello che in economia si definisce “problema dell’uovo e della gallina”. Per vendere le console, Valve aveva bisogno di giochi nativi, e per convincere gli sviluppatori a creare giochi nativi, Valve aveva bisogno di una base installata di console.

Al momento del lancio, meno di un terzo della libreria di Steam era compatibile con Linux. La maggior parte dei tripla A, bloccati dalle API DirectX di Microsoft, erano ingiocabili.

Inoltre, la strategia hardware era confusa. Valve delegò la produzione a partner esterni come Alienware e Zotac, risultando in una miriade di dispositivi con prezzi e specifiche troppo diversi tra loro, confondendo il consumatore medio.

Senza un hardware di riferimento forte e con una libreria limitata, le Steam Machine furono un flop commerciale clamoroso, dando ai detrattori di Linux argomenti validi per deridere il progetto per gli anni a venire.

La rivoluzione silenziosa: Proton e la fine del porting

Dopo il fallimento delle Steam Machine, Valve si ritirò in un silenzio apparente, ma continuò a lavorare sottotraccia. L’azienda comprese che non poteva aspettare che gli sviluppatori portassero i loro giochi su Linux: doveva trovare un modo per far girare i giochi Windows esistenti su Linux, senza penalizzazioni. La soluzione arrivò circa sette anni fa con l’introduzione di Steam Play 2.0 e, soprattutto, di Proton.

Proton non è un emulatore tradizionale, ma un layer di compatibilità basato su Wine (un progetto open source storico). Valve collaborò strettamente con CodeWeavers per potenziare Wine e integrare tecnologie come DXVK, che traducono le istruzioni DirectX (proprietarie di Microsoft) in Vulkan (open source) in tempo reale.

Questo cambiò le regole del gioco: improvvisamente, migliaia di titoli divennero giocabili su Linux senza che gli sviluppatori originali dovessero scrivere una sola riga di codice.

Questa mossa strategica ha permesso a Valve di aggirare l’ostacolo principale. Invece di chiedere all’industria di cambiare, Valve ha cambiato l’infrastruttura sottostante. Con il supporto della community e strumenti come ProtonDB, la compatibilità è cresciuta esponenzialmente, rendendo accessibili anche titoli dotati di sistemi anti-cheat complessi (non tutti, purtroppo, per ora), un tempo barriera insormontabile per il gaming su Linux.

Il trionfo della Steam Deck e l’adozione di Arch Linux

Tutto il lavoro svolto su Proton ha gettato le basi per il riscatto hardware di Valve: la Steam Deck, annunciata nel 2021. Rispetto alle prime Steam Machine, la Deck ha introdotto due cambiamenti fondamentali.

Primo, l’hardware è stato progettato internamente da Valve, garantendo un controllo totale sul rapporto prezzo-prestazioni e creando un dispositivo di riferimento chiaro per il mercato.

Secondo, e forse più importante, è stato il cambio di rotta software. Valve ha abbandonato la base Debian per passare ad Arch Linux con SteamOS 3.0. Arch è una distribuzione “rolling release”, il che significa che riceve aggiornamenti continui e immediati. Questo ha permesso agli ingegneri di Valve di implementare patch del kernel, aggiornamenti dei driver grafici e correzioni per Proton con una velocità impensabile in precedenza, adattando il software all’hardware in tempo reale.

Il successo della Steam Deck ha dimostrato che la visione di Newell del 2013 era corretta, ma prematura per i tempi. Oggi, milioni di utenti giocano su un sistema Linux senza nemmeno accorgersene, godendo di funzionalità come la sospensione rapida e un’interfaccia dedicata, mentre sotto il cofano gira un ecosistema open source.

Con la Deck, Valve non ha solo creato una “console” portatile di successo, ma ha sdoganato definitivamente Linux come piattaforma di gioco di primo piano, aprendo la strada a una nuova generazione di Steam Machine che, questa volta, troveranno un terreno fertile e pronto ad accoglierle.

Il ritorno al salotto: verso la Steam Machine 2.0

Steam Machine 2026

Il successo travolgente della Steam Deck ha convalidato la scommessa decennale di Valve, dimostrando che Linux può gestire un’esperienza di gioco moderna senza compromessi.

Questa vittoria tecnologica pone le basi per l’inevitabile passo successivo: il ritorno al concetto originale di Steam Machine, ma questa volta con le armi giuste per combattere.

Se nel 2014 il tentativo di conquistare il salotto fallì a causa di un software immaturo e di un catalogo scarno, oggi lo scenario è capovolto. SteamOS 3.0 è un sistema operativo robusto, capace di sospensione e ripresa istantanea, gestione energetica avanzata e un’interfaccia che non ha nulla da invidiare a quella di PlayStation o Xbox.

L’ostacolo non è più il “se” Linux possa funzionare, ma “come” Valve deciderà di impacchettarlo per il mercato domestico fisso.

La nuova Steam Machine non soffrirà del problema dell’uovo e della gallina che condannò i modelli originali, e arriverà sul mercato con una libreria di decine di migliaia di titoli già perfettamente funzionanti dal primo giorno. Questo rappresenta un vantaggio competitivo mostruoso rispetto alle console tradizionali, che ciclicamente azzerano o limitano le librerie degli utenti con il cambio generazionale.

Un dispositivo fisso, svincolato dai limiti termici e di batteria di una portatile, che sulla carta offre 4K e ray tracing su Linux, e che porta la filosofia “PC gaming” sul divano con una semplicità d’uso “plug-and-play” che finora è stata appannaggio esclusivo delle console chiuse.

Il futuro che si delinea vede Valve in una posizione unica. Non è più solo un negozio digitale o uno sviluppatore di videogiochi, ma un architetto di piattaforme.

L’azienda ha trascorso l’ultimo decennio a costruire le fondamenta invisibili, dai driver Vulkan ai layer di compatibilità, per rendere l’hardware irrilevante. La visione di un ecosistema aperto, dove l’utente possiede realmente i propri giochi e può eseguirli su qualsiasi form factor, sta finalmente diventando realtà.

La lunga marcia iniziata con quel post sugli “zombie più veloci” non serviva solo a vendere qualche copia in più di Left 4 Dead, ma a garantire che il futuro del videogioco non fosse ostaggio di un’unica azienda di Redmond, restituendo il potere nelle mani dei giocatori e degli sviluppatori.

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